Situato su di un’alta collina che domina le valli sottostanti solcate dal fiume Nera a sud-est e attraversate dal Tevere a sud-ovest, fu dall’antichità conosciuto con il toponimo di “Mons Campanus”. La sua notevole posizione strategica di controllo sulle valli prospicienti e sulla vicina via Amerina suscitò le attenzioni di Amelia che l’acquistò nel 1354. Nel 1399 la comunità di Montecampano si rivolse al Consiglio degli Anziani di Amelia perchè intervenissero a riparare alcuni tratti di mura franate e nel 1405, ottenne il consolidamento di mura e torri di guardia. Nel 1412 il castello subì tuttavia una prima devastazione da parte di Braccio da Montone (Perugia 1368 – L’Aquila 1424), allora comandante delle truppe pontificie e che sarebbe divenuto pochi anni più tardi signore di Perugia. Montecampano seguì negli anni successivi le sorti di Fornole, che subì diversi attacchi da parte delle truppe papali; ancora nel 1434 Niccolò Piccinino, rivale di Francesco Sforza, all’epoca signore di Amelia, diede l’ordine di incendiare Montecampano.
Nel corso del Cinquecento il castello fu ancora meta di rovinose incursioni da parte delle famiglie Vitelli e Orsini e da parte dell’esercito della vicina Orte, pronta a sfruttare ogni occasione propizia per sottrarre territori ad Amelia e condurli nell’orbita della sua influenza. Successivamente, per molto tempo, il castello fu possedimento dell’aristocratica famiglia dei Conti Cansacchi, una casata proprietaria di diverse tenute terriere e di immobili tra cui due palazzi di grande pregio architettonico situati nel centro di Amelia (Palazzo Cansacchi della Valle Superiore in contrada “Platea” e Palazzo Cansacchi in contrada “Posterola” eretto a fianco dell’Ospedale di Santa Maria dei Laici). Dell’originario impianto castellano rimangono alcuni tratti di mura e alcune belle torri. L’interno è caratterrizzato da via Cansacchi, con ai lati dei bei palazzetti ed un antico orologio pubblico situato su di un cavalcavia che collega due edifici affacciati sui lati opposti della via. La chiesa parrocchiale di San Pietro in Vincoli non presente più l’originario aspetto medievale per le numerose manomissioni subite nei secoli. Tutt’attorno alla collina su cui insiste l’abitato si aprono panorami mozzafiato sulle vallate circostanti che mostrano in lontananza, tra ampi boschi e terreni coltivati, solitarie pievi dirute e antichi casali, residenze appartenute in passato a nobili famiglie amerine tra cui i Venturelli, Racani, Boccarini, Catenacci e i Farrattini, proprietari questi ultimi di una tenuta padronale nei cui pressi sono stati effettuati ritrovamenti archeologici che hanno fatto ipotizzare la presenza in epoca romana di una villa patrizia. In questa zona, posta sulla sinistra idrografica del fiume Tevere, che lambisce e si insinua nei territori di comuni limitrofi ad Amelia (Giove, Penna in Teverina, Lugnano in Teverina) dovevano trovarsi numerose ville rustiche, come hanno dimostrato gli scavi in località Poggio Gramignano (Lugnano), dove tra il 1988 e il 1992 sono venuti alla luce i resti di una villa del I sec. a.C. di notevole estensione, scoperta peraltro resa ancora più eccezionale dal fatto che nel V sec. d.C. la villa venne utilizzata come area cimiteriale per accogliere le sepolture di numerosi bambini morti in seguito a un’epidemia, probabilmente di malaria (per tale motivo la villa è nota anche come “Necropoli dei bambini di Lugnano”).